Laudato si’ mi’ Signore! 

Il Cantico delle Creature compie 800 anni! 

Nell’anno giubilare 2025 ricorrerà anche l’VIII centenario della composizione del Cantico delle creature: la più famosa delle preghiere di san Francesco d’Assisi e un capolavoro delle origini della letteratura italiana. Il Poverello compose la prima parte del testo a San Damiano di Assisi, ospite del monastero in cui santa Chiara viveva con le sue Povere Dame. Il Santo era gravemente malato, quasi completamente cieco, e portava nel suo corpo i segni della Passione di Gesù, le stimmate ricevute alla Verna nel settembre del 1224. A far esplodere la sua lode fu una visita notturna del Signore, che gli donò la speranza certa del Paradiso e dell’immenso valore delle tribolazioni che stava attraversando con queste parole: «Fratello, rallegrati e giubila pienamente delle tue infermità e tribolazioni; d’ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già nel mio regno» (Compilazione di Assisi 83). 

Una lauda che inizia con il superlativo “Altissimo”, riferito all’Onnipotente Bon Signore, e si conclude con il sostantivo “humilitate”, riferito alla creatura umana, fatta di humus, terra. È preghiera di “chi non è” a “Colui che è”, l’unione del nulla con il Tutto. Altissimo e humilitate: due parole che danno l’intonazione giusta al canto di Francesco, come motivo musicale su cui si accordano tutte le creature. Tuttavia le creature sono come i gradini di una scala che unisce l’Altissimo e l’umano, cielo e terra, attraverso le quali Dio discende a noi e noi risaliamo a Lui. Come la biblica scala di Giacobbe, dove gli angeli sono messaggeri tra Dio e gli uomini, nel Cantico di Francesco messaggere sono tutte le creature di Dio, che ne portano l’impronta, segni del suo amore e provvidenza, della sua bellezza e bontà. “Ogni vivente dia lode al Signore”, è l’ultimo stico che ricapitola tutto il Salterio (Sal 150,6) e Francesco se ne fa eco, già nella Esortazione alla lode di Dio (ExhLD 9), qui  partecipando lui stesso al grandioso coro del creato: “Laudato si’, mi Signore, cum tutte le tue creature”. Il salmo 150 ci fa pensare a un direttore d’orchestra che invita successivamente ogni strumento a farsi sentire: il corno, la cetra, i tamburelli e le danze, gli strumenti a corda e i flauti, i cimbali sonori e squillanti. Francesco anche lui chiama le creature e le invita all’armonia della lode al Dio Altissimo. Era diventato il “fratello minore” dell’umanità, in una vera e dolce coesistenza pacifica con tutte le creature. Infatti per lui il mondo era una iconografia dove  cercare le immagini di Dio. “L’amore abbonda in tutte le cose”. Per questo chiedeva ai frati l’uso delicato delle creature.  

Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna. Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell’inverno. Chiama col nome di fratello tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli mansueti. Ma chi potrebbe esporre ogni cosa? Quella Bontà “fontale”, che un giorno sarà tutto in tutti, a questo Santo appariva chiaramente fin d’allora come il tutto in tutte le cose” (2Celano 165). 

Ci ricorda che tutte le forme di vita, ma anche le cose, hanno diritto di cittadinanza in questo mondo, diritto “divino”, per esserci, per essere volute, create da Dio, appunto. Nessuna inutile, nessuna superflua. 

La realtà la si conosce quando la si riconosce nel suo destino, cioè in Cristo. Quanto viene predicato di una creatura, può essere detto anche di tutte le altre. Così non solamente il sole “porta significatione” dell’Altissimo, ma anche la luna, anche le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco… Tutto il creato è “immagine dell’Immagine” Verbo di Dio, come scrivono i Padri della Chiesa. 

Per questo è il Cantico di un povero, che non si appropria del mondo, ma lo usa con devozione e gratitudine e condivide con tutti, si affida alla Provvidenza di Dio il quale, attraverso “omne tempo” delle stagioni e la madre terra, “sustenta et governa” ogni sua creatura. Come non pensare alle parole di Gesù sul monte delle beatitudini: non preoccupatevi, perché se il Padre vostro celeste nutre gli uccelli del cielo, veste l’erba del campo, “non farà molto di più per voi, gente di poca fede?” (Mt 6,31).  

Lungi dall’essere un illuso idealista, Francesco sa che la creazione, trascinata dal peccato dell’uomo, è piena di contraddizioni, ferita dallo stigma della sofferenza, della sopraffazione, dell’odio e della guerra, della morte. Lo sa dal contesto in cui vive. Lo legge nella Scrittura sacra: “La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità … geme e soffre le doglie del parto”; ma Francesco sa anche e crede fermamente che la “creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8). E qui c’è un uomo, divenuto figlio di Dio, perché è stato reso  conforme al Figlio di Dio venuto nella carne, povero e crocifisso, di cui porta le stigmate.  

 Conformato a Cristo, può cantare la massima esaltazione del creato, la lode a Dio per la bellezza e l’utilità delle creature, persino per sorella morte. La lode è restituzione a Dio di ciò che a Lui abbiamo sottratto con il peccato, col non fidarci di Lui, vivendo come se Dio non esistesse. La lode è il contrario del peccato. 

A San Damiano, con la consolazione femminile di Chiara, con la durezza della sofferenza sul suo povero corpo, che aveva accettato di buon grado, Francesco si sentì dire dal suo Signore: “Fratello, rallegrati e giubila pienamente delle tue infermità e tribolazioni; d’ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già nel mio regno” (CAss 83; FF 1614). E il meraviglioso canto gli sgorgò dall’anima, rassicurato della gloria della resurrezione, come chi, stando per lasciare questa vita, getta un ultimo sguardo sul mondo “così acceso d’impensate bellezze” che l’ “Altissimo, Onnipotente, Bon Signore” vi ha seminato.  

Cecuziente com’era, tuttavia “vede” ed evoca sulla tavolozza della sua mente a tinte forti i colori più belli delle creature. Vien da pensare ad un altro grande dell’arte, Beethoven, che nella sua sordità ci ha donato la musica più bella con l’Inno alla Gioia della Nona Sinfonia. 

Il Poverello loda il Buon Signore per il sole, la luna e le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la terra madre…  e chi perdona e chi soffre e piange…  e… e… perché è un canto aperto, che si va scrivendo, anche tu puoi aggiungere una tua strofa, una tua personale lode all’Altissimo. L’hai mai fatto? Per cosa loderesti tu il Buon Signore? 

Alla Porziuncola Francesco aggiunse per i suoi frati in lagrime, e per noi, l’ ultima strofa al suo “Cantico delle creature”. 

Laudato si’ mi Signore, per sora nostra morte corporale 

canta Francesco 

da la quale nullo homo vivente po’ skappare 

ammonisce, con lucido realismo, Francesco 

Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali 

scongiura fino alle minacce, per troppo amore, Francesco 

Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati 

qui è il vero lasciapassare per l’eternità, testimonia Francesco 

ka la morte segunda (l’ inferno) no li farà male 

assicura e promette Francesco 

Queste parole sono come l’ ultimo Testamento, l’ ultima ammonizione, l’ ultima parola d’amore di questo piccolo grande uomo, per ciascuno di noi, a fare Transito, a fare Pasqua, a stare lontani da le peccata mortali –  il vero male –, a perdonare chi ci ha offeso, a non temere eccessivamente la prima morte, quella del corpo, ma la seconda, quella eterna, male assai peggiore della morte corporale, drammatico isolamento da Dio e dai fratelli, per sempre. È proprio vero che l’ ultimo messaggio di un innamorato, (ma anche di un padre, una madre),  è un messaggio d’amore

A conclusione, come non leggere le parole, quasi-testamento, di un altro Francesco, il Pontefice che lo Spirito Santo ci ha donato per i nostri giorni, il quale invita tutti a sporgerci oltre questa vita per contemplare Colui che della bellezza e bontà è la fonte: 

“Al di là del sole. 

Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Cor 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine. Sì, stiamo viaggiando verso il sabato dell’eternità, verso la nuova Gerusalemme, verso la casa comune del cielo. Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati”. (Laudato si’, 243). A laude di Cristo e del Poverello Francesco. 

Fr. Giancarlo Rosati ofm 

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