Di Lucia Baldo
Tratto da “ IL CAMMINO MATERNO DI S. FRANCESCO D’ASSISI”
Margherita visse in un tempo in cui la parola «penitenza» era molto diffusa e godeva di una valorizzazione positiva, non negativa come accade invece ai nostri giorni. Sappiamo dalle biografie che ancor prima della sua conversione, ella sentiva nostalgia per un mondo purificato negli affetti e nei rapporti sociali: «Sarebbe pur bello far qui penitenza o cantare le lodi di Dio!».
La penitenza è evocata come qualcosa di bello ed è collegata alla gioia del canto. Potremmo dire che è essa stessa un canto di lode all’ Altissimo.
A differenza di quanto generalmente si pensa, per Margherita la penitenza indicava una condizione perenne di vita e non si restringeva nell’ambito di momenti eccezionali, come la Quaresima o l’anno santo. La sua spiritualità era essenzialmente quella di una penitente appartenente a-pieno titolo all’Ordine dei fratelli e delle sorelle della penitenza.
Per intendere il vero significato della vita penitenziale di Margherita, occorre partire dal senso del peccato così radicato nell’animo della santa.
Non dobbiamo però confondere il senso del peccato con il senso della colpa! Il primo è di fronte a Dio, il secondo è di fronte a comportamenti sanzionati, a doveri sociali non eludibili ed ha un valore giuridico, in quanto esprime il disagio dell’individuo che ha bisogno di sentirsi in regola col mondo per avere quelle sicurezze che sono ritenute necessarie per una ordinata e stabile convivenza.
La colpa è di fronte agli uomini ed ha un valore morale e giuridico; il peccato è di fronte alla misericordia di Dio grazie alla quale è possibile colmare l’abisso che separa la miseria dell’uomo dalla potenza dell’ Altissimo.
Dice S. Francesco nei Fioretti, rispondendo a una domanda di fra Masseo che gli chiedeva perché mai tutto il mondo gli andasse dietro: «Vuoi tu sapere perché a me tutto il mondo venga dietro? Questo ho io da quegli occhi dell’ Altissimo Dio, i quali in ogni luogo contemplano i buoni e i rei, perché quegli occhi santissimi non hanno veduto tra i peccatori alcuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me…» .
E non si tratta di una risposta enfatizzata che, se dice l’umiltà non dice la verità di S. Francesco, perché egli aveva realmente coscienza di essere il più grande peccatore, in quanto aveva la coscienza di aver emarginato Cristo dalla propria vita.
Avere il senso del peccato non significa essere peccatori. Tutti siamo peccatori, ma non tutti abbiamo la coscienza di esserlo. Il peccato è una debolezza, ma la consapevolezza di esso è una forza. Avere il senso del peccato vuol dire avere intravisto la via per superarlo, quindi essere di fronte alla luce e protesi verso di essa per raggiungerla.
E la via da percorrere a questo scopo è la via della penitenza. Senza il senso del peccato non esiste penitenza vera. La penitenza è un fare memoria del proprio passato di peccato per riprogettare il proprio futuro.
«Ricorda!» Con questo monito ripetuto con un ritmo stringente, ha inizio la Leggenda di fra Giunta.
«È la memoria che inaugura e illumina l’orizzonte e il senso della via della penitenza di Margherita. Non è la memoria della colpa, ma è la memoria della presenza misericordiosa, innamorata e onnipotente di Cristo».
La penitenza non è fine a se stessa, come poteva essere quella dei Flagellanti nel Medio Evo, che pensavano di salvarsi punendo il loro corpo e martoriandolo, in quanto lo consideravano il male in contrapposizione all’anima che era il bene, secondo una visione manichea di origine neoplatonica, che attraverso la cultura greca si era infiltrata nel Cristianesimo fin dai primi secoli della nostra era.
La penitenza di Margherita dopo il suo arrivo a Cortona e la sua decisione di entrare nell’Ordine dei fratelli e delle sorelle della penitenza, è nota a tutti. Sono famosi i digiuni (aveva rinunciato ai cibi che le erano più graditi come i fichi, la selvaggina, tutte le carni, per limitare gradualmente i grassi animali, sostituiti da quelli vegetali, ed infine nutrirsi solo di legumi e verdure crude, pane, nocciole e
mandorle, al punto che le bastò un piattino per contenere l’unico pasto della sua giornata che consumava dopo Nona), le veglie, i tormenti che ella infliggeva al suo corpo al quale aveva dichiarato una guerra implacabile. Perché tutto questo? Era una forma di masochismo?
Certo l’accanimento di Margherita contro il proprio corpo non è riscontrabile in S. Francesco che alla fine della sua vita chiede scusa al proprio corpo (frate asino) per essere stato troppo severo ed intransigente con lui.
Come si può, allora, chiamare francescana la penitenza di Margherita? Leggiamo un passo della Leggenda dove Cristo dice alla santa: «Figlia, se vuoi seguire le orme della Maddalena e aver parte delle sue consolazioni, devi abbandonare tutto ciò che piace al tuo corpo, e preoccuparti di sottomettere allo spirito e macerare — come si macera la paglia separata dal grano — quelle parti del tuo corpo che con il loro orgoglio hanno provocato vendetta in me, al quale nulla sfugge. Però non dovrai ridurti per causa del digiuno o della febbre e dei tuoi patimenti a tale debolezza da non poter andare alla messa dei frati, finché a me piacerà».
Dunque lo scopo della penitenza risulta essere l’annientamento dell’orgoglio, dell’egoismo,dell’egocentrismo per sostituire ad essi il cristocentrismo, il vivere di fronte al Cristo, ponendolo al centro del proprio valorizzare. E il corpo deve diventare palesemente il campo espressivo dell’azione dello spirito del Signore di cui lo spirito dell’uomo deve essere similitudine. E questo è possibile se il corpo segue lo spirito rinnovato da Cristo, facendosi a sua volta immagine del corpo di Cristo.
È bella la similitudine della paglia che deve essere macerata per lasciare spazio al grano. Il corpo deve essere sottomesso a questo nuovo spirito; solo per questo deve fare penitenza, non per essere indebolito, infiacchito. Il fine è dunque costruttivo: perché la nostra vita sia grano (faccia buoni frutti), occorre ricostruire il nostro ordo amoris, la scala dei valori, cosicché la nostra sensibilità cambi totalmente: quello che era amaro si trasformi in dolce e quello che era dolce in amaro.
Dice S. Francesco nel Testamento: «Il Signore concesse a me, frate Francesco di cominciare così a fare penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo».
Analoghe a queste sono le parole di Cristo riportate nella Leggenda: «Ricorda ancora che fortificata dalla mia grazia, ti macerasti in continui digiuni, disprezzasti il vestire delicato, e trovasti perfino soave dormire su un letto durissimo, su una stuoia o sulla nuda terra e aver per capezzale un tronco o una pietra… non devi mai dimenticare che io ho pietosamente e meravigliosamente mutato i tuoi pianti amari in lacrime di dolcezza…».
Da quanto è stato detto risulta chiaro che la vera penitenza francescana si attua nell’interiorità, in una rinnovata dolcezza di sentire e non si può valutare in base al compimento di atti esterni. A questo proposito il Marchese dice che Cristo rivolgendosi a Margherita la invitò a guardarsi da quelle persone che, pur facendo elemosine, visitando le chiese, dicendo le orazioni e facendo «tutte le altre buone operazioni nesteriori», non riescono gradite alla divina pietà, poiché non accompagnano questi atti con un sincero e profondo cambiamento di vita.
In questa raccomandazione si può anche avvertire il richiamo del Signore ad evitare ogni forma di fariseismo, cioè il fare penitenza per salvarsi, pensando di potersi appropriare delle buone opere. Colui che fa penitenza invece non si appropria del bene che compie, ma lo attribuisce esclusivamente a Dio. «Il cuore di chi fa penitenza è un cuore vuoto di se stesso»? perché rimanda a Dio ogni ricchezza. Margherita agì esattamente in questo senso, anche se forse in maniera estrema, in quanto cercava di nascondere agli occhi della gente tutte quelle manifestazioni particolari che accompagnavano le rivelazioni del Cristo. Ma Cristo la richiamava per questo e le imponeva di farsi «voce nel deserto» del mondo che aveva bisogno di segni esteriori per capire quanto fosse grande la misericordia del Signore verso coloro che si pentono e fanno penitenza.
Potremmo dunque dire che la penitenza di Margherita aveva anche una funzione sociale, pedagogica. Riferiamo le parole di Cristo a Margherita: «Io ti ho ordinata, acciocché sii uno specchio dei peccatori: io ti ho posta al mondo, e convertita a me, affinché essi sperino di ottenere il perdono dei loro peccati, e atua similitudine procurino di adornare le anime loro di virtù», E di fronte al rifiuto opposto da Margherita ad avere spettatori alle sue estasi, Cristo ribadì: «Io non parlerò più teco se tu licenzi costoro da te, perocché io ti ho fatta specchio dei peccatori… io ti ho fatta mia rete, nella quale si hanno da prendere i pesci che vanno nuotando nel mare del secolo, che sono i peccatori; per questa ragione tali doni si concedono a te, non per te solamente, ma pel popolo mio che all’esempio tuo si deve convertire a me»!!. Altrove Margherita viene chiamata scala e madre dei peccatori.
La testimonianza penitenziale della santa non si limitò a digiuni e veglie, ma si espresse anche con la difficile accettazione di mormorazioni, maldicenze, pettegolezzi, accuse contro di lei. Ricordiamo l’episodio della fantesca che anziché chiedere in elemosina per la santa un fiaschetto di vino al mese, come aveva richiesto il medico, ne chiedeva uno al giorno per sé, facendo insinuare falsi giudizi sul conto di Margherita, oppure gli sguardi curiosi e indiscreti di alcune donne, accompagnati da offese, o (e questo dovette farla soffrire maggiormente) l’abbandono da parte di alcuni frati minori che, accusandola di ipocrisia, pazzia e malafede, la ostacolarono in vari modi, finché riuscirono ad allontanare da lei lo stesso fra Giunta, costringendolo ad andare a Siena per sette anni; tornò però in tempo per dare a Margherita il saluto estremo. E forse la penitenza più dura fu il timore che Cristo la abbandonasse per la sua indegnità. Ma questo timore era voluto da Dio perché, grazie ad esso, ella avrebbe dovuto capire in quale stato si sarebbe trovata senza di Lui e ne avrebbe ricavato una lezione di umiltà.
Per cogliere in pienezza il senso del cammino penitenziale di Margherita, dobbiamo vedere la sua vita in una prospettiva cristocentrica. Ella era sempre di fronte al Cristo: lo testimoniano i continui dialoghi di cui è costellata l’intera Leggenda. Sia che si tratti di illuminazioni interiori, sia di parole esteriori, non consideriamoli un semplice genere letterario fittizio e convenzionale, perché questo significherebbe privarli del loro valore che è inconfutabile. Grazie ad essi possiamo cogliere la crescita spirituale di Margherita e il suo progressivo distaccarsi dalle forme di penitenza più comuni al suo tempo, per riscoprire formesempre più purificate di essa. Ricordiamo il famoso episodio del rasoio con il quale voleva ferirsi il volto all’inizio del suo cammino di conversione, quando non aveva ancora bene capito che queste azioni aspre e cruente non potevano soddisfare il Signore. Ma per fortuna l’intervento del suo confessore fra Giunta,le permise di evitare un grave errore. Il suo comportamento dimostra l’atteggiamento proficuo per un penitente che è quello di lasciarsi educare, guidare, alimentare dal confessore e da Cristo stesso nei frequenti dialoghi che Margherita aveva con lui. Ricorda il Marchese che nei giorni di venerdì, Margherita non voleva comunicarsi, perché riteneva che in quei giorni bisognasse piangere e fare lutto in quanto Cristo era stato ucciso dai peccati degli uomini e in particolare dai suoi. Margherita vedeva nel Crocifisso impresse le piaghe inferte da lei stessa. Perciò si riteneva indegna di assumere il suo corpo eucaristico, soprattuttodi venerdì. Allora il Signore la richiamava «dicendole che, in detti giorni ella dovea con maggior ardore di spirito unirsi ad esso, perocché in tal dì più che in ogni altro consagrato alla sua Natività o alla Risurrezione, egli si era con più stretto vincolo d’amore congiunto alla nostra umanità…», E per mettere alla prova il suo affetto, Cristo le pose questo quesito: «… se si fosse trovata in una vasta solitudine di notte tempo circondata d’intorno da crudeli persecutori i quali insidiassero alla sua Vita, in tale afflizione e spavento avrebbe differito di correre a lui? Al che Margherita francamente replicò: — Io mi persuado, o Signore,che a somiglianza di un fanciullo tutto lieto e giubilante alla vista della sua cara madre che a sé lo chiama, per lo desiderio impetuoso di correre al seno amoroso di lei, cadrei sulla strada…».
Questo episodio sembra riecheggiare il dialogo della perfetta letizia di S. Francesco, dove tra mille dolori e delusioni il santo finalmente riconosce in che cosa consiste la perfetta letizia.
È una letizia che nasce dalla penitenza e dalla sofferenza. Misteriosamente non è indicata un’altra via, un’altra possibilità. Cristo dirà a Margherita: «Tu vorresti essere figlia di latte, ecco invece che sarai figlia di fiele», Ella avrebbe dovuto rivivere i suoi stessi dolori, ma essi l’avrebbero resa simile a lui, sua figlia prediletta e sorella. Tuttavia Margherita non si sentiva degna di mettere le mani nelle sue piaghe; per questa umiltà, ebbe il privilegio di vedere spaccarsi il costato di Cristo e in esso manifestarsi il suo cuore, a significare che per questo senso di indegnità, Margherita sarebbe stata immessa nel mistero più profondo della vita del suo Signore. Da questa visione nacque in lei una passione intensa capace di esplodere in preghiere come questa: «Signore mio Gesù, chi ti ha ucciso? Chi ti ha strappato o mio bene? Amore mio, Gesù mio, dimmi, dove ti sei nascosto? Ma perché io devo continuare a vivere se non posso avere piùte che per tua bontà m’hai ridato la vita?», E il risultato della penitenza sarà per Margherita la promessa fattale da Cristo di essere posta nel coro delle Vergini, come Maddalena: «Figlia, ti collocherò tra i Serafini dove si trovano le Vergini ardenti di carità… — e Margherita a lui: — Signore hai tu collocato Maddalena nella gloria celeste tra i cori delle Vergini? — E il maestro: — Fatta eccezione della Vergine Maria e della martire Caterina, nessuna nel coro delle Vergini è maggiore di Maddalena», Margherita è chiamata figlia in seguito alla confessione durata otto gioni, cioè dopo aver iniziato il cammino penitenziale. Prima erachiamata poverella, poi sarà chiamata sorella e sposa in un crescendo di familiarità col Cristo.
La penitenza di Margherita si invera nella povertà intesa non solo in senso esteriore, ma come rimando continuo delle sue azioni alle azioni di Cristo. È una purezza di spirito, di interiorità, è una povertà di cuore la vera penitenza di S. Francesco e di S. Margherita.