SAN FRANCESCO, VIAGGIATORE E PELLEGRINO

Di Fr. Giancarlo Rosati ofm

  1. Quando Dante scrive la Divina Commedia, intorno al 1300, è normale per lui estrarre dall’immaginario collettivo del Medioevo una immagine a tutti familiare e facilmente comprensibile. Per dire come Virgilio e Dante andavano camminando per la sesta bolgia dell’ Inferno, l’uno a distanza dall’altro che lo seguiva, così scrive:
“Taciti, soli, sanza compagnia n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, come frati minor vanno per via”. (Inferno, XXIII,1-3)

            I frati minori, sull’esempio di San Francesco, solevano muoversi a due a due, non camminando l’uno a fianco dell’altro, ma a debita distanza, perché pregavano, meditavano, lodavano Dio, immersi nella natura e nel silenzio. Per non molestarsi, per non essere causa di distrazione l’uno all’altro. Questo modo di camminare, di viaggiare, si è impresso nel Medioevo e richiamava alla mente di tutti l’immagine della preghiera. Una preghiera spesso più contemplativa, a contatto con la natura, con le creature, riflesso di Dio. Sgorgherà naturale la meravigliosa lauda del Cantico delle Creature dal cuore contemplativo di Francesco, come canto della sua vita immersa nel creato. Esposto alle creature, sulla strada, aveva da loro ricevuto calore (dal sole), illuminazione notturna (la luna e le stelle), il vento fresco in estate, la pioggia, l’acqua rinfrescante, il calore di frate fuoco nei freddi inverni, i fiori, i frutti della madre terra. L’animo dei semplici, dei poveri si innalza spontaneamente dalle creature al Creatore. La preghiera contemplativa connota fortemente il camminare, il viaggiare di Francesco e dei suoi frati.

            Si racconta che una volta tornando da Perugia a S. Maria degli Angeli insieme a frate Leone, Francesco propose al suo fedele compagno di pregare lungo tutto il tragitto, ciascuno da sé, la preghiera del Pater noster. Giunti alla Porziuncola, dopo varie ore di cammino, il Santo domandò a frate Leone quanti ne avesse recitati. Non sappiamo la risposta di frate Leone; Francesco confessò che non aveva potuto dire altro che “Padre”. Per tutto il viaggio la sua mente era rimasta in contemplazione del Padre.

  • Agli inizi del 1200, con Francesco e la sua fraternità apparve una nuova forma di vita  religiosa, rispetto a quella dei monaci, che facevano della fuga mundi, della stabilitas loci e la separazione dal popolo una caratteristica della loro spiritualità. Al riparo del chiostro si dedicavano alla preghiera e al lavoro (“ora et labora”). “L’intuizione di fondo di Francesco (scrive Vauchez) volta le spalle a questa tradizione pressoché millenaria: per lui, in effetti, il mondo non era il luogo dell’esteriorità o della vanità che occorreva fuggire per ritrovare Dio, bensì l’orizzonte  in cui si dispiegava la carità, un luogo da attraversare – senza istallarvisi – in una peregrinatio attiva, impegnandosi in un combattimento spirituale contro il male e contro se stessi… In questa prospettiva il rifiuto iniziale di ogni insediamento stabile dei Minori manifestava il loro desiderio di entrare in contatto con il maggior numero di persone, mediante la pratica del lavoro manuale nei campi (…) o la mendicità o la predicazione, al fine di invitarli a fare penitenza” (A. VAUCHEZ, Francesco d’ Assisi, Torino 2010, pag. 326s.).

Diciamo subito che Francesco e i frati non si muovevano per il mondo per turismo, per un viaggiare fine a se stesso o per commercio, senza uno scopo prefissato. Viaggiavano per lavoro, per la predicazione e la missionarietà, per la pacificazione di città o fazioni in lotta, per raggiungere i luoghi assegnati dall’obbedienza, per chiedere l’elemosina, per il pellegrinaggio ai santuari del tempo. Dove ci fosse gente, là era il luogo per il frate minore.

Giacomo da Vitry nel 1216 si trovava a Perugia, visitando i frati alla Porziuncola, lui osservatore attento e pieno di simpatia verso il nascente movimento, parla in proposito della “ampiezza del chiostro a misura di mondo” (Historia occidentalis, FF 2230).

La stessa espressione si trova nel Sacrum Commercium (1227), dove Madonna Povertà fa visita ai frati e chiede di vedere il loro chiostro:

“Ed ella, dopo un sonno placidissimo e non appesantito da cibo né da bevanda si alzò alacremente, chiedendo che le fosse mostrato il chiostro. La condussero su di un colle e le mostrarono tutt’intorno la terra fin dove giungeva lo sguardo, dicendo: «Questo, signora, è il nostro chiostro» (Sacrum Commercium, 63).

Non si tratta di semplice apologo edificante o di lirismo francescano. In origine i frati non avevano case, ma chiedevano ospitalità nelle chiese o nelle abitazioni di amici. Si comportavano veramente come “pellegrini e forestieri”, trovando ispirazione nella vita del Signore Gesù su questa terra, il quale fu “povero e ospite e visse di elemosine lui e la Beata Vergine e i suoi discepoli” (RegNB IX,5; FF 31); ma attualizzando anche la condizione iniziale dei cristiani, ai quali San Pietro scrive di comportarsi come “stranieri e pellegrini” (1Pt 2,11; cfr. Ef 2,19; Eb 11,13). In verità il nome della nostra comunità locale, cioè “parrocchia”, ci ricorda la condizione di tutti i cristiani, quella di non avere casa su questa terra, di vivere nella condizione di accampati, di pellegrini. E quandanche i frati ricevessero povere abitazioni, ivi “dimorino da ospiti come forestieri e pellegrini” (Test 24).

Bisogna fare attenzione a non interpretare troppo materialmente questi testi di Francesco, quasi spronasse i frati a girovagare e vagabondare, a diventare “extra-vagantes”, fuori dalla fraternità e indipendenti da essa, senza meta. Egli esorta a “sentirsi” “pellegrini e forestieri”, imitando il Signore, povero, ospite, esiliato, bisognoso, che “non ha dove posare il capo”. Ci suggerisce questa interpretazione il fatto che Santa Chiara usa lo stesso testo della Regola di San Francesco per le monache di clausura, anch’esse “«pellegrine e forestiere» in questo mondo, servendo il Signore in povertà e umiltà” (RegCl VIII,1; FF 2795). Così commenta sr. Chiara Augusta Lainati questo testo: “«pellegrine e forestiere» in questo mondo”: potrebbe suonare strano trovare in una Regola per «povere monache rinchiuse», limitate nei loro movimenti da un muro e più ancora da severe regole, questa forte sottolineatura alla itineranza: una itineranza nella fede e nella povertà sui passi di Cristo… (che) mette in una condizione spirituale di continuo esodo”.

Questo modo di camminare diventa così metafora della vita, come continua ricerca, come incontro con persone di altre culture, come liberazione da zavorre inutili, come sobrietà nel vivere, come ricerca dell’essenziale, nello stile della provvisorietà. In questo senso la pratica del pellegrinaggio è un fatto presente in molte religioni, al di fuori del cristianesimo e appartiene alla fenomenologia religiosa universale. Il senso religioso si manifesta anche in questo modo. Forse anche il moderno turismo religioso e il proliferare di “cammini” appartengono alla stessa fenomenologia. Il camminare di Francesco tuttavia ha una forte connotazione cristologica ed evangelica.

         3.     La Regola e la spiritualità dei frati minori è per coloro che vivono nell’ “ampiezza del chiostro a misura di mondo”, perciò in un capitolo si stabilisce come i frati debbano andare per il mondo”(RegNB XIV e RegB III): “non litighino ed evitino le dispute di parole e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti ed umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene”; “non portino niente per via, né sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone. E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa… e secondo il santo Vangelo, sia loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro messi davanti… Non resistano al malvagio; ma se uno lo percuote su una guancia, gli offrano anche l’altra. E se uno toglie loro il mantello, non gli impediscano di prendere anche la tunica. Diano a chiunque chiede loro; e a chi toglie le loro cose, non le richiedano”. Andare per il mondo secondo lo stile di itineranza ispirato alle beatitudini evangeliche e a tutto il famoso Discorso della montagna, vera Magna Charta del Regno di Dio annunciato e attuato da Gesù; parlare con tutti, annunciare la pace a tutti, evitare atteggiamenti di dominio e di possesso, non imporre nulla né opporsi neppure al malvagio. Il mondo diviene così il luogo di incontro tra gli uomini, per un reciproco scambio di doni, per riattivare relazioni di amicizia e di fraternità, di pace e di fiducia reciproca e ricondurre gli uomini e le donne a quell’unità fondata sull’ unico Padre, nel nome di Gesù. Perciò la preghiera del Pater noster è la preghiera di quanti percorrono le vie degli uomini, dei pellegrini, degli uomini perché  si incontrino fra loro e si riconoscano fratelli.

  1. I compagni di viaggio “preferiti”.

Francesco è aperto all’incontro con tutti gli uomini, di ogni ceto sociale: con gli ecclesiastici, con i potenti, con gli eretici, con il Sultano… ma manifesta una speciale preferenza per gli ultimi, sull’esempio di Gesù. Raccomanda ai frati di trovare la loro gioia quando stanno tra le persone emarginate. “Stare tra”, essere uno di loro, come loro, come gli altri poveri, come veri poveri, come i veri poveri. Così scrive nella Regola non bollata: “E devono essere lieti (gaudere) quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada” (RegNB IX,2). Così Francesco d’Assisi. Francesco di Roma, oggi ci dice la stessa cosa quasi con le stesse parole: “La Chiesa intera deve arrivare a tutti. Però chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, «coloro che non hanno da ricambiarti» (Lc 14,14). La Chiesa, ci dice il Papa, deve trovarsi a suo agio proprio tra di loro (Evangelii Gaudium, 48).

  1. Il Codice dei pellegrini.

Le Fonti francescane ci riportano, appena accennato, quello che si può chiamare il codice dei pellegrini, a salvaguardia della povertà, dell’itineranza come “pellegrini e forestieri”. Ecco i testi:

“Nei suoi figli pretese sempre la condizione di pellegrini, cioè che si raccogliessero sotto il tetto altrui, passassero da un luogo all’altro pacificamente e sentissero nostalgia della patria” (2Cel 59; FF 645).

“Diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, transitare in pace” (Leggenda maggiore VII,2-3 /FF 1120-1121).

  1. I viaggi di San Francesco  (un atto di amore)

Il desiderio di Francesco era quello di raggiungere tutti gli uomini, per annunciare loro il Vangelo della salvezza. Finché non fu impedito dalle numerose malattie, nei 20 anni di vita consacrata, visitò molte città e paesi delle regioni del centro Italia: Roma, la Valle di Rieti, l’Umbria, le Marche, la Toscana, fino all’Emilia Romagna e oltre; e al sud sembra anche al Santuario di San Michele al Gargano. E quando fu impedito dalle infermità, si preoccupò di giungere ai suoi frati, ai sacerdoti, ai politici (i Reggitori dei popoli), a tutti i fedeli, con lettere ed esortazioni. “Universis christianis religiosis, clericis, masculis et feminis, omnibus qui habitant in universo mundo…” (EpFid II, 1); “Universis custodibus…”; “universis potestatibus et consulibus

  1. Viaggio di Francesco a Santiago di Compostela (fra il 1213 e 1215)

Nella sua prima biografia, Vita b. Francisci (VbF), fra Tommaso narra accuratamente dell’«anelito ardente del martirio» di san Francesco che lo stava portando in Marocco attraverso la Spagna: «era talmente vivo il suo desiderio, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio, affrettandosi nell’ebbrezza dello spirito a eseguire il suo proposito. Ma il buon Dio, che si compiacque per la sua sola benignità di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, affrontandolo direttamente mentre era giunto in Spagna, per non farlo proseguire più oltre, sopraggiunta una malattia, lo richiamò dal viaggio che aveva intrapreso» (VbF 56: FF 420).

Altra notizia presente nelle Fonti Francescane è nei Fioretti, III (FF 1830), dove si afferma espressamente che san Francesco fu a Santiago e che lì ebbe una visione: «Al principio e fondamento dell’Ordine, quando erano pochi frati e non erano ancora presi i luoghi, santo Francesco per sua divozione andò a santo Jacopo di Galizia e menò seco alquanti frati, fra li quali fu l’uno frate Bernardo […]. Essendo giunti là, e stando la notte in orazione nella chiesa di santo Jacopo, fu da Dio rivelato a santo Francesco ch’egli dovea prendere di molti luoghi per lo mondo, imperò che l’Ordine suo si doveva ampliare e crescere in grande moltitudine di frati».

  • Viaggio in Egitto (1219-20)

Col tempo la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati francescani. Nel 1217 Francesco presiedette il primo dei capitoli generali dell’Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l’esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l’attività di preghiera, di rinsaldare l’unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell’ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.

Nel 1219, si recò ad Ancona per imbarcarsi per l’Egitto e la Palestina, dove da due anni era in corso la quinta crociata. Durante questo viaggio, in occasione dell’assedio crociato alla città egiziana di Damietta, insieme a frate Illuminato ottenne dal legato pontificio (il benedettino portoghese Pelagio Galvani, cardinale vescovo di Albano), il permesso di poter passare nel campo saraceno ed incontrare, disarmati, a loro rischio e responsabilità, lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino. Lo scopo dell’incontro era quello di potergli predicare il vangelo, al fine di convertire il sultano e i suoi soldati, e quindi mettere fine alle ostilità.

L’interpretazione del rapporto tra Francesco e l’Islam, e le crociate non è facile ed è ancora oggetto di discussione in quanto c’è contrapposizione tra chi vede la sua azione come un sostegno alle crociate o, al contrario, come una loro sconfessione. La narrazione dell’incontro ci è pervenuta, oltre che tramite le opere di biografi francescani, anche attraverso altre testimonianze non tardive, sia cristiane sia arabe. La versione fornitaci da San Bonaventura cita maltrattamenti subiti ad opera dei soldati. Tuttavia poté incontrare il sultano a cui annunciò la fede cristiana (Leggenda Maior, IX,8).  Nel racconto di Tommaso da Celano, Francesco suscitò profonda ammirazione nel sultano, che lo trattò con rispetto e gli offrì numerose ricchezze. Secondo la narrazione agiografica, Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.

      L’esperienza del viaggio in terra mussulmana fu poi recepita nella Regola non bollata, nel capitolo XVI (“Di coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli”) nella quale Francesco presenta la missione come alternativa all’inutile violenza delle crociate, nello stile della mitezza e della testimonianza cristiana. La crociata era vista come “un viaggio armato, un pellegrinaggio armato” per riaprire i luoghi santi alla cristianità.

      “I frati che vanno tra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annuncino la parola di Dio…” (RegNB XVI,5-7; FF 43).  L’andare tra i saraceni è una conseguenza dell’andare per il mondo, che caratterizza in modo fondamentale lo stato di vita francescano. Il testo appena citato costituisce la base sempre attuale del progetto di una fraternità in missione, suggerimenti validi di come anche oggi possa avvenire l’incontro tra culture e religioni diverse. Prima ricercare la relazione, fatta di amicizia, rispetto, di ascolto, di conoscenza, di condivisione; solo dopo, se si crea l’accoglienza reciproca, si può attivare lo scambio dei contenuti della propria fede, nella fiducia e nella comune ricerca della verità.

  1. L’ Europa si è fatta pellegrinando.

Per la storia d’Europa e per il suo sviluppo culturale il mondo del pellegrinaggio ha avuto un ruolo determinante. L’Europa è stata percorsa in lungo ed in largo da questi pii viandanti che, per devozione e penitenza, hanno formato per secoli una comunità in cammino, tanto da far dire a Goethe che la coscienza dell’Europa è nata pellegrinando. Si può dire, a questo proposito che San Francesco, con la sua vita santa e con la fraternità attraverso di lui nata, ha creato luoghi santi attivando percorsi e flussi di pellegrini di cui ancora oggi siamo testimoni: Assisi, La Verna, La Valle Santa di Rieti.

“A ciascuno Francesco ricorda che la vita è un pellegrinaggio significativo se ha per meta, e al contempo compagno di viaggio, il Signore Gesù che ci parla attraverso i Santi della sua Chiesa; che la guida sicura del Cammino – metafora di tutta l’esistenza − è il Vangelo; che la credenziale migliore è la Fede (quella che ognuno ha, poca o tanta, in un’apertura sincera senza preclusioni) che va via via riempita di fraternità, essere fratelli di tutti nello stile della minoritas, piccolezza spoglia d’ogni egoismo che si fa accoglienza e condivisione” (fra Giovanni Voltan). E la preghiera contemplativa a contatto con la natura e con gli uomini fratelli.

Fr. Giancarlo Rosati ofm

Il pellegrinaggio

(alcuni punti presentati da Mons. Paolo Giulietti)

  1. Il distacco.  Uscire dalla quotidianità, incontrare altre identità senza rinunciare alla propria identità, altre culture e religioni senza lasciare le proprie. Lasciare per trovare, alleggerirsi dei propri pensieri e preoccupazioni.
  2. La fatica.  Emerge il meglio (per es., la solidarietà) e il peggio (per es. l’egoismo, l’arrivismo…) che è in noi, la nostra verità. Non proporre il pellegrinaggio a basso prezzo, non eliminare il disagio, la fatica. Senza fatica è turismo, ancorché religioso.
  3. La solitudine.  Per rientrare in se stessi, per ascoltarsi. Nel pellegrinaggio proporre anche il silenzio, tempi di solitudine.
  4. La compagnia.   L’incontro con l’altro, il diverso. Incontrare l’alterità, la sorpresa dell’altro. abbiamo bisogno dell’altro.
  5. La meraviglia.  Il creato, l’arte, la bellezza del passato, la santità dei luoghi e delle persone. Non foto, ma impressioni interiori, nella memoria, nel cuore.
  6. La tradizione.  Il pellegrino non è il primo né l’ultimo a fare quel pellegrinaggio. Siamo dentro una storia: diari di pellegrinaggi, guide, tracce, scritte…
  7. La preghiera.  La trascendenza si infila nel pellegrinaggio. Camminare verso una meta che non si conosce, per dire che non ci basta il quotidiano, che siamo alla ricerca di alterità. Tensione alla trascendenza.

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