L’umiltà francescana in S. Margherita 

di Lucia Baldo

Tratto da “ IL CAMMINO MATERNO DI S. FRANCESCO D’ASSISI”

Per cogliere l’essenza del significato della parola «umiltà», da fra Giunta Bevegnati  definita come «la fondamentale fra le virtù cristiane», occorre richiamare in presenza l’immaginario di S. Francesco così mirabilmente espresso in tutta la sua potenza creatrice nel Cantico delle creature. In particolare citiamo la strofa dedicata all’acqua:

«Laudato sie mi Signore

per sora acqua,

la quale è molto utile et umile

et pretiosa et casta».

L’immagine materiale dell’acqua è vista nel Cantico, in conformità con la simbologia universale, in coppia con frate vento, elemento dinamico da cui è fecondata nella prospettiva di generare una nuova Vita. Ricordiamo «il soffio di Jahvè che aleggia sulle acque» come «preludio alla creazione».

Nello stesso tempo per la simbolicità, frate vento è come investito dell’umiltà, propria dell’acqua, per cui «non solleva in alto» la «pesantezza terrestre» di Francesco, ma la avvolge con la sua leggerezza.

L’aggettivo «umile» con cui viene designata l’acqua, è al secondo posto, dopo l’aggettivo «utile». Con esso si trova in una stretta connessione semantica, accentuata e sottolineata dal forte legame fonico della

paronomasia. Sappiamo che non sono le regole della retorica a svelarci il mistero poetico che è il Cantico delle creature, tuttavia esse ci possono aiutare ad apprezzare l’umiltà di Francesco che si esplica nella sua

solerte operosità che anima il quotidiano.

L’umiltà di Francesco non è inattiva, inerte, rassegnata passivamente a vivere una realtà grigia e mediocre, infeconda come la terra non arata, ma costituisce un costante richiamo e rimando al dinamismo fecondante e creativo del vento.

La parola «umile» deriva da humus, terra. E l’acqua è umile, perché scorre sulla terra, permeandola di sé, facendola vivere, liberandola dalla aridità in cui si cade ogni volta che si abbandona il legame con la realtà in cui si è calati.

L’umile non sfugge la realtà per fare balzi troppo grandi in avanti, insofferente dei limiti che ostacolano la sua ansia d’infinito, ma allo stesso tempo non si scoraggia per l’elevatezza dell’impresa. Egli non dice: «È troppo per me!», ma sa che il Signore può operare in Lui cose grandi, se solo lo vuole. L’umile sa accettare che il Signore non si faccia sentire, sa vivere la realtà di ogni momento come l’unica vera per lui e agisce per trasformarla, senza irruenza, con la stessa leggerezza con cui frate vento feconda l’acqua. L’umile non

chiede di più di quello che ha, ma cerca di vivere in pienezza la propria condizione.

Sia Francesco sia Margherita miravano a cose grandi: il primo voleva diventare  «araldo del gran Re», mentre la seconda alle amiche che la rimproveravano scherzosamente per la sua vanità, rispondeva che sarebbe giunto un giorno in cui l’avrebbero chiamata santa e l’avrebbero visitata col bordone del pellegrino. Le forti aspirazioni di Francesco e Margherita erano però congiunte con il senso del proprio limite; tuttavia essi non identificavano la propria piccolezza con la mediocrità. Essere piccoli non

significa essere rinunciatari, passivi, inerti, incapaci, perché questo offenderebbe il Signore che può operare grandi cose in chiunque egli lo desideri, soprattutto in coloro che noi valutiamo poco. L’umile ha coscienza di essere piccolo rispetto all’infinito che è Dio.

Quando si sente piccolo, allora è veramente grande, perché le categorie umane di grandezza e di piccolezza sono rovesciate rispetto a quelle di Dio: «… i miei pensieri non sono i vostri pensieri», dice il Signore

Perciò l’umile attende gli eventi con serenità e ne trae ammaestramento per farsi guidare sempre meglio dai pensieri di Dio. L’umile sa leggere profeticamente i segni dei tempi, perché non è impositivo, volontarista, ma sa mettere da parte i propri progetti, per far sì che il Signore compia in lui ogni meraviglia, se vorrà e per tutto il tempo in cui lo vorrà. Egli sa ascoltare la Parola per farla fermentare, ama il

silenzio evocativo di chi attende l’evento.

Potremmo dire che l’umile vive perennemente il tempo liturgico dell’ Avvento.

Vengono in mente le parole con cui il Signore nella Leggenda di Santa Margherita si rivolge a lei, dicendole: «Non temere figlia, non rattristarti se i tuoi desideri vengono differiti. Perché quando tu, con animo tranquillo e senza diffidare della mia pietà, mi aspetti, nel desiderarmi mentre ne sei priva hai un

merito maggiore; e Io, poi, ti darò una consolazione più grande che se tu avessi ottenuto

subito quello che chiedi».

Dunque l’umile vive l’attesa con tranquillità e nel nascondimento; non gli interessa apparire, non cerca la gloria e gli onori, ma se il Signore gli dona la fama, egli non la rifiuta, perché anche questa decisione di contrastare la volontà di Dio sarebbe una forma di vanagloria. Che Margherita rifiutasse la vanagloria, è

ampiamente attestato. Ricordiamo la stessa Leggenda dove si parla «dell’umiltà di Margherita che nascondeva accuratamente i segreti di Dio».

Ella che si riteneva «vilissima tra tutte le creature», chiedeva al Signore di poter vivere appartata e lontana dagli sguardi indiscreti della gente che voleva scrutare i segni della presenza divina impressi nel suo corpo

nei momenti di maggior vicinanza al Signore: «… ella seguitò con umiltà a supplicarlo, che si compiacesse di coprire almeno agli occhi del mondo questa luce, della quale egli per sua misericordia le aveva adornata

l’anima, e di seppellirla affatto a questo secolo, acciocché vivendo ritirata dal commercio degli uomini, né con essi discorrendo, non apparisse neppure un lampo di questa luce superna con che ella restava abbellita dal vero Padre dei lumi».

Tuttavia la vera umiltà di Margherita non consiste tanto in questo desiderio di vivere appartata, che potrebbe esprimere la volontà orgogliosa di gustare da sola in pienezza le «golosità spirituali» (direbbe Mauriac) che le offriva il Signore, ma consiste piuttosto nel saper accettare sempre il disegno di Cristo su

di lei. Rispose il Signore alle richieste di lei: «… Che alla sua superna volontà ella dovesse rimettere o il ragionare con gli uomini, o l’astenersi dal discorrere con essi». Il Signore aggiunse inoltre di «dover ella rassegnarsi in ciò interamente alla sua divina volontà»?.

E più volte le venne manifestata la missione assegnatale: «Figliuola, tu sarai luce in molte Provincie del mondo. Non seppe ella replicare alla disposizione divina, ma senza uscire dall’abito del basso conoscimento di sé medesima, ascrisse all’ Autore d’ogni bene qualunque favore che le veniva da esso offerto». E ancora: «Non si fanno queste cose tanto grandi in te per te solamente, ma ancora per utilità di molti peccatori, i quali con tal mezzo si hanno a ridurre di venire al seno della mia misericordia. A tal avvertimento si quietò, conoscendo che dalla stessa sua miseria sarebbe risultata gloria maggiore alla divina bontà»!!.

La vita della santa era costellata da atti di umiltà «interna», riconoscendosi grandemente peccatrice e indegna della misericordia del Signore, e da atti di umiltà «esterna», come quando, contro ogni inclinazione naturale, si pose al servizio di una gentildonna che l’aveva biasimata e accusata di leggerezza per aver

cambiato tre volta dimora, recandosi alla Rocca per obbedire alla volontà di Cristo.

E quando capiva che gli uomini con i quali conversava erano pieni di meraviglia per la sua grandezza ed ella non riusciva ad insinuare in essi un basso concetto di sé, «alle volte si studiava di non apparire umile…»!2 e non parlava frequentemente, come era suo solito, delle cose divine. Stupito di ciò, un religioso le chiese il motivo di questo silenzio, ed ella, nascondendo per umiltà le grazie che il Signore continuava a compiere in lei, rispose: «Così il Signore si è compiaciuto di fare meco… Egli ha veduto che io non sono grata a favori da esso dianzi concedutimi; perciò ora si astiene dal comunicarmi nuove grazie…».

La vera e profonda umiltà di Margherita merita quel canto gioioso con cui Cristo celebra la virtù della santa: «O viola piena d’odore d’umiltà, la tua umiltà in questo è dissimile dal basso sentimento degli altri affezionati a tal virtù, che non apparisce nel cospetto altrui così grande, quanto ella veramente è nella tua mente».

L’umiltà di Margherita non è una veste esteriore indossata per ostentare una vita austera, alla maniera dei farisei, ma è un’umiltà di cuore, per amore, che tende al nascondimento perché teme di infrangersi di fronte alla barriera della superbia, sottile tentazione di cui ella avvertiva il forte pericolo, conoscendo la sua fragilità. Margherita aveva cura di custodire con diligenza l’immenso tesoro di grazie che il Signore le aveva affidato per la salvezza sua e di tutti gli uomini.

È un atto d’amore che non annulla la consapevolezza della propria indegnità, ma che umilmente porta ad accogliere il totalmente diverso da sé. Solo una forza come l’amore poteva colmare l’abisso insondabile

che separa il senso del peccato dalla infinita misericordia di Dio, conservandoli entrambi in presenza. Non c’è da stupirsi se questo stato di vita interiore si manifestasse in Margherita più col pianto che con le parole.

Il pianto è l’acqua purificatrice del Cantico delle creature. «La vita dell’acqua non è forse un donarsi pieno, un umile servizio in cui si annienta per la vita altrui, senza pretese di autoaffermazione e di autogratificazione?». E gli aggettivi «preziosa» e «casta» con cui viene designata l’umile acqua, non si

riferiscono forse alla sacralità di una novità di vita fatta trasparenza interiore, purezza di un cuore indiviso che canta, piangendo, le lodi del Creatore?

L’etimologia della parola «umiltà», come abbiamo già notato, segna il continuo rimando alla realtà terrena, cui Margherita si

richiamava quando poneva le labbra sopra la terra, chiamandosi indegna di aver accolto con la sua bocca l’Eucaristia. Ella si paragonava al loto e alla cenere, meravigliandosi che la terra sostenesse e alimentasse lei che aveva avuto l’ardire di ricevere il corpo dell’Altissimo. Il suo contatto fisico con la terra era un fare memoria che ella proveniva dalla terra, che ad essa sarebbe tornata e che con essa era in un rapporto di

consaguineità, filiale e sororale, come attesta la stessa parola «uomo» (da humus = terra).

Perciò l’umiltà permette a tutti noi di vivere in pienezza e con autenticità la nostra umanità, ricuperando la comune radice dei termini uomo e umile.

È proprio questo stretto legame con la terra a fare di Francesco e Margherita un uomo e una donna così veri e credibili per ogni generazione di viventi che «nostra sora matre terra» continua a sostentare e governare, nonostante le continue violazioni di cui è fatta segno dal desiderio di dominio dell’uomo.

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