Di Lucia Baldo
Tratto da “ IL CAMMINO MATERNO DI S. FRANCESCO D’ASSISI”
«L’anno del Signore 1277 (si legga 1275), Margherita, già datasi a Cristo con purezza d’animo e fervido cuore, si inginocchiava davanti a fra Ranaldo Custode d’ Arezzo, di buona memoria e, a mani giunte, con molte lagrime, si offriva umilmente di sua spontanea volontà, corpo e anima, all’Ordine del beato Francesco; e vi fu accolta, avendo anche ottenuto, dopo molte insistenze, l’abito del Terz’Ordine dello stesso beato Francesco».
Con queste parole fra Giunta Bevegnati nella sua Leggenda descrive il giorno della professione di Margherita, avvenuta presumibilmente nel 1275, tre anni dopo il suo arrivo a Cortona.
Il noviziato di Margherita durò tre anni e solo «dopo molte insistenze» le fu concesso di entrare nell’Ordine.
Perché furono necessarie tante «lagrime e insistenti preghiere?». Evidentemente i frati «dubitavano della sua perseveranza». Ricordiamo la preoccupazione del frate portinaio del convento delle Celle, dove Margherita aveva bussato appena entrata nel territorio della città di Cortona, per chiedere di vivere nella penitenza: «Figlia mia, lei è troppo giovane e troppo bella», aveva obiettato il frate. Ma Margherita con l’aiuto delle pie donne Cortonesi e con il suo ardente fervore di spirito, seppe convincere tutti della sua perseveranza. Fu così che per lei il giorno della professione fu veramente foriero di nuove grazie e di eccezionali doni nello spirito.
Tuttavia l’ingresso nel Terz’Ordine non segnò per Margherita una frattura netta e improvvisa nella sua vita, ma piuttosto costituì una nuova spinta a vivere con rinnovato ardore e con assiduità quella vita dello spirito
nella quale aveva compiuto i suoi primi passi sulle orme di S. Francesco.
Possiamo dire che se il Noviziato come istituzione o è transitorio o non è affatto, è altrettanto vero che lo spirito del Noviziato deve contraddistinguere tutta la vita del penitente francescano. Come dice la stessa parola «novizio», ogni penitente dovrebbe esprimere un continuo germinare della vita, come una sorgente che zampilla limpida e trasparente, dono sempre atteso, mai scontato, a differenza del
procedere lento e monotono del fiume che scorre inesorabile verso la fine. La sorgente indica questo perenne ricominciare della vita, questo sentirsi sempre all’inizio e quindi ancora carichi di aspettative e proiettati verso una progettualità che si rinnova continuamente e che considera nulla ciò che è già stato fatto, secondo il monito di S. Francesco: «Incominciamo, fratelli, a servire il Signore Dio nostro, perché finora abbiamo combinato poco».
Viene in mente l’immagine del fiore che non può sbocciare, evocata da un poeta per indicare il dramma dell’esistenza che scorre senza potersi esprimere davvero, come soffocata nel suo stesso nascere. Noi potremmo rovesciare questa immagine per cogliere la gioia della vita che sboccia, come un fiore che effonde il suo profumo e annuncia la sua bellezza, prima ancora di poterla manifestare in pienezza. Così avviene nelle civiltà che si susseguono nel tempo: è nella fase iniziale che esse racchiudono in sé la loro forza generatrice, la potenza creativa del mito che sono chiamate ad esprimere. Poi, quando tale mito sarà espresso e racchiuso in molteplici significati, avrà esaurito la sua vitalità e cederà il posto ad altri miti che, a loro volta, feconderanno la storia degli uomini con nuovi segni dell’impronta creatrice di
Dio che mai si esaurisce.
Se la penitenza, come dice p. Bigi, è un «cambiamento di mente», veramente Margherita aspirò nella sua vita ad un continuo rinnovamento di se stessa; in questo modo non corse il rischio di cadere nell’abitudine e nel taedium vitae propri di chi si appoggia ad un passato di fronte al quale non c’è più nulla da scoprire o da ricercare. Mi riferisco innanzitutto all’ingresso di Margherita nella città di Cortona, che segnò l’inizio di una nuova vita di penitenza. Con questa scelta, ella abbandonò un passato che le aveva assicurato prestigio, potenza, grandezza per tuffarsi in una novità di vita che le avrebbe garantito disprezzo, sofferenza, incertezza. Come Francesco nella piazza di Assisi aveva abbandonato la sua «maggiorità» per diventare «minore», cioè privo di potere, così Margherita lasciò lo sfarzo della corte (avrebbe potuto forse assicurarsi l’appoggio di un altro signore) per vivere povera in una città straniera. Sia Francesco che Margherita avrebbero potuto fare tante elemosine se fossero rimasti «maggiori», invece scelsero la minorità perché questo è l’unico modo affinché il mistero nascosto che è nell’uomo venga alla luce.
Ma anche affermatasi come penitente, Margherita visse la sua vita come una sequela di tappe in forma a spirale, non ciclica: raggiunta la prima occorreva subito puntare su quella successiva e così via instancabilmente.
Dopo aver assistito le partorienti e aver curato gli infermi poveri, avviò la costruzione dell’ospedale della Misericordia e lo affidò alla Confraternita delle Poverelle. Successivamente si dedicò con maggior assiduità alle Messe e alla preghiera, finché, nonostante l’opposizione di molti (dei frati in primo luogo), si trasferì in
una cella della Rocca posta in cima al monte su cui si inerpica la città di Cortona.
Ogni volta incontrava il disprezzo delle persone, anche di quelle a lei più vicine, ma la voce del Signore era più forte. La sua vita divenne così un continuo combattimento per rinnovare se stessa e il mondo, cosicché non credeva mai di essere arrivata e di potersi adagiare in un passato capace di ipotecare il futuro.
Il futuro non è colonia del passato, non è in funzione esecutiva, ma elettiva, perché ogni atto della vita pone in discussione se stessi, come se si fosse continuamente di fronte ad un bivio. È così che la vita deve essere continuamente vissuta e mai data per scontata. Certo questo richiede una continua fatica dello spirito, cioè una continua penitenza, ma è una fatica che ci apre squarci sempre nuovi di possibilità fino a quel momento inesplorate, perciò è una penitenza carica di futuro.
Anche la povertà di Margherita costituisce un elemento fondamentale dello stile di vita assunto nel periodo del suo Noviziato. È anch’essa da porsi in relazione al nuovo, perché l’abbandono di tutto ciò che dà sicurezza agli uomini, proietta in una condizione di profonda insecuritas culminante nel disorientamento e nella debolezza (che è la vera povertà dello spirito) di chi sente di non possedere ancora pienamente la salvezza e teme di non poterla mai raggiungere.
A questo proposito Cristo dice a Margherita: «… il grande timore che tu supporti, ti è molto utile, sia perché così non attribuisci ai tuoi meriti nessuno dei miei doni [vera povertà], sia
perché ti fortifichi contro il nemico e vinci nella battaglia». Invece proviene dal demonio la tentazione di cercare sempre la sicurezza: «una notte [il demonio] entrò nella sua cella mentre pregava, cominciando ad esclamare… come lei fosse già confermata in grazia e quindi era sicura di ricevere il premio eterno. Ma essa era già pronta e respingere queste insinuazioni dell’astuto tentatore e a superarne le insidie».
All’insegna dell’insecuritas, non intesa banalmente come l’incapacità di decidere o di scegliere, ma strettamente congiunta con un senso di forza e di lotta, procede tutta la vita della santa che fin dal Noviziato crebbe in fervore di spirito verso la perfezione e perseverò senza mai voltarsi indietro, perché,
come ricorda S. Francesco, il Vangelo dice: «Nessuno che mette mano all’aratro e guarda indietro è adatto al regno di Dio». Inoltre nella Leggenda il Signore promette a coloro che non persevereranno, supplizi maggiori, perché pur avendo ricevuto molti doni, non li hanno fatti fruttificare.
Potremmo dunque riassumere in quattro parole il senso del Noviziato di Margherita: penitenza, povertà, procedere verso la perfezione, perseveranza (quattro p).
Ma queste sono anche le parole che racchiudono come in uno scorcio il senso di tutta la vita della santa, il mito della nuova civiltà francescana che non ha ancora esaurito tutta la forza della sua potenzialità creatrice.