di Lucia Baldo
Tratto da “ IL CAMMINO MATERNO DI S. FRANCESCO D’ASSISI”
La Leggenda di fra Giunta ci presenta la figura di S. Margherita come un modello esemplare di maternità per il suo atteggiamento nei confronti dei poveri. Essi erano oggetto della sua amorevole attenzione al punto che rinunciavano alla questua presso le case dei ricchi per rivolgersi alla misera mensa della santa dispensatrice di affetto più che di beni materiali. «Restavano assai più consolati dell’affettuoso e cordial ristoro provveduto loro dalla povera Penitente, che di tutte le altre limosine dispensate loro dalle persone facoltose della città».
A questa immagine pietosa della santa parrebbe opporsi quella ricorrente nella Leggenda della madre che trascura il figlio: «Si era come svestita dello stesso affetto materno, come se non fosse di questo mondo di cui aveva orrore e non avesse lei partorito il suo figliolo». Ma questo passo è da accettare in modo acritico o è piuttosto da ritenersi un’interpretazione di fra Giunta che rivela di non saper sempre comprendere a pieno, come accadeva alla maggior parte delle persone, la profondità di sentire e le motivazioni di fondo che animavano le scelte di Margherita?
Molto ardita, ma non priva di interesse è la lettura che fa Mauriac della maternità margaritiana. Lo scrittore francese nella sua biografia la paragona ad Abramo che, quando «acconsente ad immolare suo figlio e già gli lega le mani, raggiunge un massimo di fede che ci fa orrore».
È originale e stimolante il paragone proposto da Mauriac tra il sacrificio di Isacco e il sacrificio del figlio della santa, paragonata ad Abramo «padre» della fede.
Il nostro primo impulso potrebbe essere quello di rifiutare questo confronto e provare pena per il povero ed innocente figlio di Margherita, che, secondo quanto riferisce il Marchese, sembra trascurato rispetto a quei bisognosi che le chiedevano l’elemosina: «… nel servizio dei bisognosi non perdeva tempo, perché lo spirito le suggeriva quell’impiego di pura carità; dove che a sovvenire con qualche regalo il figliolo, poteva muoversi da affetto carnale».
Ma, a ben guardare, se noi ricuperiamo l’etimologia della parola «sacrificio», notiamo che significa «rendere sacro»: Abramo rende sacro il figlio, offrendolo al Signore come il dono più caro. Margherita fa della sua vita un’offerta di lode a Dio, e parte di questa offerta è il figlio. Offrire non significa immolare alla maniera pagana, ma donare per amore qualcosa che ci è caro a Colui che riconosciamo come fonte della vita. È così che la maternità naturale, carnale che tende ad appropriarsi del figlio considerandolo un’espansione di sé, una proiezione dell’io potenziato da cui trarre forza e sicurezza si trasforma in maternità spirituale, che significa proporre un modello di carità che insegna a farsi cura e sollecitudine nei confronti di tutti i viventi, soprattutto dei più bisognosi, nel nome di Cristo. Di qui la premura di Margherita nel servire con maggior fervore i poveri, preparando per loro cibi cotti, piuttosto che il figlio carnale, per il timore che l’attaccamento naturale avesse il sopravvento, portandola a prediligerlo. Ella voleva insegnare al figlio che non si deve dare priorità al rapporto di consanguineità, ma al servizio dei fratelli in Cristo, nella totale gratuità di una vita vissuta come donazione di sé. E nel donare se stessa, Margherita includeva anche il figlio che sentiva parte della propria vita. I rapporti col figlio non sono espressione di odio o di noncuranza verso di lui (anche se non possiamo negare in lei una certa conflittualità per i dolorosi ricordi di un passato i cui segni restavano impressi sul volto del figlio), ma piuttosto di amore e preoccupazione per il suo futuro. Ricordiamo le parole del Marchese quando allude all’angoscia di Margherita respinta dalla casa paterna dopo la morte di Arsenio: «… sopraffatta quasi dalla disperazione si pose a sedere sotto un albero di fico in un orto non molto distante in compagnia del suo figliolo, la cui necessità maggiormente le angustiava il cuore». Ricordiamo anche quando ella lo mandò ad Arezzo a studiare o quando lo richiamò tra le lacrime perché non si era svegliato per celebrare Mattutino con gli altri frati della comunità religiosa a cui apparteneva.
In tutti questi casi Margherita anteponeva Cristo ad ogni legame affettivo inteso come possesso. In questo senso va interpretato il passo evangelico: «il discepolo di Cristo deve odiare suo padre, sua madre, la moglie, i figli…». Interessante a questo proposito è l’interpretazione che ne dà Mauriac: «quest’odio voluto da Dio non rassomiglia all’odio che rode le nostre tristi vite. Dio si prenderà ben cura di coloro che ci domanda di abbandonare, ed accade che il nostro sacrificio li serva meglio del nostro egoistico attaccamento. Non sappiamo tutto ciò che dobbiamo a qualcuno che ha rinunciato a noi per amore di Cristo».
Rinunciare non è un’espressione che indica passività o rassegnazione impotente, ma una libera volontà di farsi dono, strappando con forza dall’attaccamento viscerale ciò che sentiamo appartenerci per natura. È l’espropriazione totale propria della povertà spirituale di Margherita che ricupera con un senso nuovo pieno di letizia, tutto ciò di cui si è espropriata per amore.