di Padre Giancarlo Rosati
Margherita ha avuto una vita assai complessa, una esperienza umanamente e spiritualmente ricca e allo stesso tempo drammatica. Orfana di madre, ancora bambina, esce dalla casa paterna, perché trattata non bene dalla matrigna, va a convivere con un giovane ricco e nobile del luogo, che promette di sposarla, con lui vive da signora, tra vanità e travaglio interiore, con lui ha un figlio, ma la promessa di sposarla svanisce. Infatti il giovane Arsenio, così sembra si chiamasse, in una battuta di caccia viene ucciso. Margherita viene cacciata dalla famiglia di Arsenio e non viene neppure accolta dal padre. Si ritrova sola con il figlio, tentata di trovare un altro buon partito, visto che era ancora giovane e avvenente. Qui interviene il Signore, che interiormente la avverte: “Io plasmatore della tua bellezza interiore e amorosamente desideroso di esaltarla, riuscii ad illuminare la tua coscienza e ad ispirarti di andare a Cortona e lì porti sotto l’obbedienza dei miei frati minori” (I,2,9). Il movimento verso Cortona fu un vero “esodo” da una forma vita lontana dall’amore di Dio, vissuta nella vanità e nelle “tenebre del vizio” (I,2,15), verso una nuova “terra promessa”, dove ritrovò se stessa, poverella, ma soprattutto dove il Signore, la rese sua figlia, sua sposa, sua serva, strumento di carità per i poveri, di pace per i violenti, di consolazione per i miseri.
Tre metafore ci possono aiutare ad entrare nell’animo di Margherita nei suoi primi passi attraverso la porta Berarda, dove entrò alla città che sarà la sua città: la porta appunto, la fonte di acqua dove attinse tante volte, e la cella, o piuttosto, le tre celle dove abitò a Cortona.
La Porta
È Porta Berarda, sul lato est della città, dove Margherita, entrò. Metafora di passaggio, lasciar dietro di sé persone, situazioni, relazioni, abitudini, e disporsi ad essere accolti, chiedere umilmente aiuto, disporsi a un nuovo inizio, a nuove relazioni, entrare in uno spazio di intimità . C’è una lapide su quella porta che ricorda il passaggio di Margherita con il suo figlio, nel 1272: Margherita di Laviano cacciata dalla casa paterna si ricoverò in Cortona entrando per questa porta che gli avi nostri chiamarono Porta Berarda. Oltrepassando quella porta Margherita entrò in uno spazio “sacro”, nella cui geografia la nostra santa ha tessuto tutte le relazioni, misticamente con il Signore, caritativamente con i poveri, filialmente con i frati minori, socialmente con tutti. Ha sviluppato in modo sublime la sua umanità e la sua santità, diventando quella donna nuova, ad immagine del Foglio di Dio. Gesù stesso si era presentato come la Porta che introduce nel mistero di Dio (Gv 10,9). Margherita non smise mai di attraversare quella Porta, per passare dagli uomini a Dio e da Dio agli uomini. E noi, passiamo in quel doppio senso, per quella porta che è Cristo?
Il pozzo
C’è in una delle celle dove Margherita visse (all’interno dell’edificio che oggi ospita l’Istituto S. Caterina da Siena), un pozzo di acqua freschissima, ancora oggi utilizzato, che serviva per i malati che avevano preso l’abitudine di accorrere da Margherita. Il pozzo nella Bibbia è il luogo di incontro, di amicizie, di amori. Pensiamo al pozzo dove Mosè aiutò ad abbeverare le greggi delle figlie di Ietro, una delle quali divenne poi sua moglie (cfr Es 2,15s.). Pensiamo al pozzo di Giacobbe, dove Gesù entrò in conversazione con la Samaritana, alla quale Gesù offrì “acqua viva” (Gv 4,10). Ebbene amiamo pensare che anche Margherita, offrendo l’acqua del pozzo, donasse agli assetati anche “l’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14), la sola che può calmare l’endemica sete di vita, di senso, di amore, di stima, di grazia di Dio, di vita che non finisce più. Noi spesso siamo condannati ad una sete infinita, perché non calmiamo la nostra sete nell’Infinito Dio.
La cella
“Ricorda che, quando ti strappai dal tuo vecchio stato, mi premurai di farti trovare, specialmente nei primi tempi, la compagnia di due nobili signore, Marinaria e Raniera” (I,2,17). Le due nobildonne, della famiglia Moscari, la accolsero nel loro palazzo e per lei e il suo figliolo approntarono una celletta, che le permetteva una discreta solitudine, e da lì iniziare a muoversi verso le genti della città specialmente i poveri. Questa fu la prima cella.
Frattanto cresceva in Margherita il bisogno di solitudine, cioè il fascino, la seduzione di Dio, il suo amore, il forte richiamo a stare “sola con il Solo”. Collocò il figlio presso un precettore ad Arezzo, anche per potersi dedicare a quella che era diventata la sua scelta di vita: fare la spola tra Dio e gli uomini, fra contemplazione e azione, fra solitudine orante e relazioni caritative, fra pace ottenuta da Dio e pace donata agli uomini e fazioni in lotta. Ottenne una seconda cella, vicina a casa Moscari, anche per gestire il suo tempo in modo più indipendente, le sue penitenze senza dare nell’occhio, i suoi sospiri e le sue lacrime, senza essere vista e incompresa, il suo servizio alla città senza restrizioni. Vi rimase 13 anni. È da qui che iniziò il primo nucleo di quello che sarebbe diventato l’ospedale di Cortona, cresciuto nel tempo e rimasto in funzione fino a qualche decennio fa. Questa è la seconda cella.
La “tentazione” dei santi è quella di fuggire a piangere la loro povera vita, in solitudine, dedicarsi esclusivamente alla contemplazione di Dio, stare con il Signore, perché hanno intuito, al limite della purificazione del loro cuore, che quella è la vera e definitiva vocazione di ogni uomo e donna. Dio ci ha creato per stare con lui in amicizia. Nella Genesi si dice che “il Signore Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” (cfr Gen 3,8) insieme all’uomo e alla donna appena creati. Non li trovò quella volta, perché si erano nascosti dopo il peccato. Spesso succede a noi di nasconderci da Dio, perché non sopportiamo il suo sguardo sulla nostra anima ingombra di tanti desideri fuorché dell’ “unico necessario”. Eppure il suo sguardo è paterno e misericordioso. Cercare la solitudine per andare incontro a Dio e da Lui lasciarsi incontrare: se avessimo un po’ di coraggio potrebbe diventare anche nostra la tentazione dei santi. Margherita si ritirò e visse per gli ultimi nove anni della sua vita nella cella della Rocca, “del tutto reclusa”, lassù poté dare sfogo ai sospiri e gemiti d’amore, ai rapimenti estatici e alla lotta sempre più dura contro le tentazioni del maligno. Diceva il Santo Curato d’Ars (un santo tentato dalla solitudine): “Chi sono dunque quelli che il demonio preferisce tentare? Ascolta attentamente, amico mio. Sono proprio coloro che si mostrano più pronti, con l’aiuto di Dio, a sacrificare ogni cosa per la salvezza della loro povera anima; che sanno rinunciare a tutto ciò che, sulla terra, gli altri ricercano con ansia e con ardore”.
«Tutta l’infelicità dell’uomo sta nel non saper restare quieti in una stanza», aveva scritto Pascal.
La cella della Rocca è la terza cella di Margherita, la definitiva, dove anche incontrò il Signore dopo nove anni, quando le fece visita “sorella morte corporale”.
Riflessione di fr. Giancarlo al margine della bella celebrazione presso una delle celle di S. Margherita il giorno 21 luglio 2022.